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lunedì 18 aprile 2011

Storia del Porto di Pescara nel '900: 2a parte di 2 - Fine




 IL PORTO NEL ‘900 

E’ un po’ difficile raccontare con la maestria di Aurelio Pomante e degli altri autori gli ultimi decenni della storia portuale. Ma proveremo a fare un piccolo sunto di questi anni.

Negli ultimi anni del 1800, il senatore De Vincenzi incaricò l’ing. Tommaso Mati di redigere un progetto (relazione già del 23 aprile 1868) per un porto sul fiume Pescara, dato che, se per un verso il fiume e la sua foce costituivano un rifugio comodo per i pescatori, che non erano più costretti ad alare due volte al giorno le paranze sulla spiaggia, e quindi avevano scoperto la comodità dell’approdo sulle sponde del fiume, dall’altra con l’incremento dell’attività lavorativa e a seguito degli incidenti alla foce ad estuario, avevano bisogno oramai di un approdo più sicuro e attrezzato. 

Fu così che nacque l’idea di costruire l’ingresso in porto in acque più profonde e rivolto verso nord-est (greco) in modo si potesse rientrare  sia con mare grosso di tramontana che di scirocco–levante (i venti prevalenti) , conservando quella che i marinai o i velisti chiamano l’andatura con mare "al giardinetto" cioè sul lato destro o sinistro della poppa dell’imbarcazione, che sarebbero state le due andature principali  per rientrare nel porto di Pescara.

Paranze al rientro alla foce del fiume Pescara tra fine '800 e primi '900 - foto Coll. Caripe

"La sistemazione della foce del Pescara trovò in passato molti studiosi e dette perciò origine a molti progetti dei quali nessuno venne mai tradotto in atto. Il più noto di tutti è il progetto Mati sulla base del quale iniziò i nuovi studi la Commissione dei piani regolatori dei porti. Questa Commissione ritenne di non doversi occupare d'altro che della sistemazione di un porto-canale non potendosi pensare alla formazione di un porto a bacino in località dove profondità sufficienti si riscontrano solo a grandi distanze dalla spiaggia." (Gino Albi,L'Abruzzo marittimo, pag.205,1915)

Ma di quegli studiosi forse il primo a cui faceva riferimento Gino Albi fu Melchiorre Delfico, noto illuminista del Regno Borbonico, come ci racconta il professor Gabriele Carletti, nel suo libro "La Pescara di Melchiorre Delfico" per la Fondazione Caripe:




Scriveva Melchiorre Delfico il 27 Aprile 1825: ..."La Pescara nel suo ultimo tratto, allorché s’imbocca nel mare, scorre in un terreno pressoché piano, in modo che la sua velocità si trova essere appena di 3 palmi a secondo (1 palmo era l'unità di misura nel Regno Borbonico uguale all'attuale 0,26 m/s, ndr).
Le sue acque in qualunque stato si trovano, o estremamente basse, o straordinariamente escrescenti, per le piovane che sopraggiungono, sono torbide, pregne di argilla, e sostanze
calcaree, e schiose, che vi trascinano i diversi influenti dalle lontane montagne, ed i torrenti di vicini colli, e perciò non potabili, che dopo più giorni di riposo. Per tale cagione il suo letto in generale, e più precisamente vicino la foce ove la velocità è piccola, e soggetto ad essere sopraccaricato da considerevoli ammassi di arena e di melma, che rialzando inegualmente il fondo inferiore producono quella poca profondità alla foce, che impedisce delle volte di farci entrare persino le tartane pescarecce che non pescano più di 3 palmi.
Ad ovviare tale primo, ed essenziale inconveniente, e rendere a detto tronco fino alla foce quella necessaria profondità di acqua che si richiede pel libero passaggio de’ più grandi navigli mercantili, altro non vi fa d’uopo che aumentare la velocità delle sue acque.
In tal modo le sostanze fangose deposte, seguendo il naturale impeto della corrente sono cacciate via, e frammischiandosi colle acque marine vanno in seguito a disperdersi, o deporsi nelle spiagge laterali senza produrre verun ostacolo.

L’arte c’insegna, che la velocità si aumenta, o coll’accrescersi la quantità delle acque, scorrendo con giusto pendio nell’istesso alveo, od obbligando l’istessa quantità di acqua a
scorrere in un alveo più ristretto.
Tanto il primo, che il secondo metodo potranno porsi in opera nel nostro caso.

Il tronco del fiume che attraversa la fortificazione della piazza presenta in tutti i suoi punti una profondità molto maggiore di quella della restante porzione, dal termine della piazza fino al mare, solo perché trovasi ristretto nelle sue sponde da forti argini, cioé alla dritta, dal lato della piazza, da una banchina fondata sopra palafitte, e sormontata da buona quantità di fabbrica, ed alla sinistra da un antichissimo muro, che per la sua solidità, e configurazione manifesta di appartenere all’antico porto di Aterno; dove che la sopradetta restante porzione, trovando all’uscire della piazza un terreno piano, e quasi orizzontale vi si dilata, ed a seconda degli urti che riceve dalle onde del mare cambia la profondità, e configurazione della sua foce.


il fiume Pescara dalla Piazzaforte fino alla foce nel secolo XVII - (dalla mostra Realpiazza di Licio Di Biase)

Quindi sarà utilissimo, ed indispensabile, che lungo il detto tronco dalla piazza al mare si construiscano da ambo i lati due braccia di banchine simili in costruzione a quella che trovasi già nella ripa dritta verso la piazza. 

Nella di loro direzione però non devono le sudette braccia essere convergenti verso il mare in modo, che la loro apertura verso la foce non sia maggiore della metà della larghezza, che trovasi avere il fiume nel tronco che attraversa la piazza.

In tal modo restringendosi l’alveo del fiume a guisa d’imbuto, le acque vi scorreranno con maggior velocità, e la loro energia sarà non solo sufficiente ad espellere tutte le sostanze
fangose dal fondo del fiume, e ad accrescerne la profondità, ma benanche ad opporre una forza reattiva alle onde del mare, ed impedire le deposizioni alla sua foce.
La più evidente prova di ciò si osserva al presente col fatto.

Per lo addietro il flume aveva formata una specie d’isoletta vicino alla foce, e scorrendo perciò per due rami aveva debolissima velocità, ed il suo fondo non era che di 3,5  palmi circa dal pelo dell’acqua. Al presente per quelle solite variazioni alle quali va soggetto l’alveo del fiume si scorge colmato con un banco misto di arena e fango il ramo di flume tra la piccola isoletta e la ripa dritta, ed in tal modo la corrente non avendo che un solo alveo e piu ristretto del primo, scorre con più velocità, e la profondità si trova cresciuta fino a 5 palmi.                  
Or se tanto possono le capricciose cause, quale ne sarà il vantaggio se l’arte vi si unisce, e le sottopone a leggi costanti ?                                                                                                             Sarà necessario ancora di prolungare le dette braccia alla distanza di circa altre 50 o 60 canne (1 canna equivaleva a 2,11 m.,ndr) dentro il mare dove l'osservazione manifesta esservi la profondità di 8 in 10 palmi, che é più che sufficiente pel transito de’ più grandi navigli di commercio.

Dippiù onde porre un ostacolo alla corrente del mare di sopra enunciata, causa degli interramenti di porti, converrà rendere più solido, e più lungo eziandio il braccio a sinistra,
fornirlo di una competente scogliera, e configurare la sua estremità circolarmente, onde la foce del fiume non sia esposta direttamente agli urti del vento Nord-Est, ossia Greco che
domina in questi paraggi, e non sia di nuovo soggetta ad essere colmata dalle arene le quali in tal caso trascinate dalla corrente marittima andrebbero a deporsi dietro il braccio a sinistra che si costruisce di maggior lunghezza.
Riparato in tal modo l’essenziale inconveniente della poca profondità, attualmente si trova avere il tronco inferiore del fiume, esaminiamo quale siano i mezzi, che l’arte ci suggerisce,
onde mantenere la detta profondità, ed espellere le nuove sostanze fangose che o per la natura delle sue acque torbide, o per mezzo delle alluvioni, vi si possono nuovamente deporre"... (leggi tutto)

Quando a fine secolo l’ing. Mati fu incaricato della sistemazione della foce del fiume e della costruzione del porto-canale previde la costruzione di due moli guardiani per 500 metri oltre la foce ad estuario del fiume e di una larghezza fra loro di 44 metri, in modo che l’imboccatura del porto fosse in acque più profonde di quelle della foce, che tanti lutti aveva visto alla fine dell'Ottocento, e ad una profondità dove le onde non frangono o frangono di meno in caso di mare mosso:



44. dal libro coll. Caripe


Ciò assicurava l’ingresso anche ad imbarcazioni con chiglie più profonde di quelle delle paranze ed anche alle (piccole per l'epoca attuale) navi mercantili che sarebbero dovute entrare nel porto. 



paranze al rientro, immortalate anche sul quadro di Basilio Cascella (dal DVD "Uè vitellò" di S. Console e G. Stuard)


Inoltre per ovviare all’inconveniente del fenomeno della "risacca" dentro il fiume, dove avrebbero ormeggiato i pescherecci e i mercantili, i due moli guardiani sarebbero stati costruiti su palafitte, che avevano il compito di spezzare il moto ondoso in entrata  (la risacca è quel fenomeno di onde dentro il porto che non permette alle barche o alle navi di essere ormeggiate tranquillamente).

(Foto ing. V. Marconi/elab. Marco De Marinis): il molo nord negli anni '70 

Su pressione dei pescatori e dell’on. Giuseppe De Riseis, sotto il Regno di V. Emanuele II, furono iniziati i lavori ufficialmente il 14 luglio 1907 (ma in effetti i lavori si protrassero per molti anni più tardi) per il nuovo porto-canale e per i due moli guardiani (progetto rivisto ai primi del 1908 dall’ing. Lo Gatto).
I lavori comunque andarono avanti fino alla fine del secondo decennio del '900, all'inizio della Prima Guerra Mondiale. 


progetto ing. Mati del 1907



Progetto ing. Lo Gatto (1908): con le due darsene sono visibili i collegamenti ferroviari alla stazione di Pescara (oggi Porta Nuova) e Castellamare (oggi Stazione Centrale) e i magazzini adiacenti alla darsena sud.
Sono visibili anche  i particolari del Regio Decreto di riclassificazione, in meglio, del porto.

"(...) Con la banchina della darsena e quella ottenuta con l'arginazione si avrebbe spazio sufficiente alle operazioni commerciali, agevolate anche da un raccordo ferroviario(...)", indicato nella figura. "(...) Quanto ai fondali, sia della bocca del porto che del canale e della darsena, si stabilì che i moli raggiungessero i fondali di metri quattro e che la darsena avesse  la profondità di metri tre e cinquanta, sotto il livello del mare, a bassa marea (...). Lasciando da parte ogni discussione tecnica, sta il fatto che il traffico di Pescara non può essere contenuto in un modesto porto-canale e che il progetto previsto non presenta notevoli facilitazioni al traffico dei piroscafi.(...) " (Gino Albi, L'Abruzzo marittimo, pag. 212-213, 1915)

La darsena prevista dall'ing. Mati, o le due darsene previste dall'ing. Lo Gatto, non furono costruite. Le  ragioni della loro mancata realizzazione  non ci è dato sapere. Ma potevano costituire la soluzione ad alcuni problemi di oggi. 

Anche il collegamento ferroviario, previsto fin da allora in progetto, e realizzato negli anni '50 dopo la Seconda Guerra Mondiale in maniera diversa (correva lungo la banchina sud del porto-canale ed arrivava fino all'attuale zona industriale e commerciale), fu successivamente soppresso e ciò costituirà l'handicap principale allo sviluppo del traffico commerciale nel porto oltre alla mancanza di aree portuali (la ferrovia è il principale collegamento richiesto dallo Stato e dalla Comunità Europea per lo sviluppo dei porti) .

D'altronde negli anni successivi il porto è stato praticamente soffocato dalla città e oggi non ha aree disponibili per il traffico merci ma solo per il traffico passeggeri.
Evidentemente le correnti della politica,  e successivi errori progettuali (diga foranea e braccio di levante), lo avrebbero condizionato più delle correnti marine.
(Il traffico petrolifero, il più importante sotto il profilo merceologico, non avrebbe avuto più bisogno negli anni successivi di aree demaniali portuali in quanto i depositi di carburante della ditta Di Properzio sarebbero stati spostati nella zona commerciale e industriale nell'entroterra. 
Le navi petroliere sono oggi collegate ai depositi da un oleodotto che dalle banchine della darsena arriva direttamente ad essi correndo lungo la banchina sud).


un progetto, presentato nel 2013, sulle aree adiacenti al porto-canale, viste dal mare

  Viale al porto sulla riva sud ai primi del Novecento- foto Coll. Caripe
           

          
            Il porto in evoluzione 


Quello che era un semplice approdo per le "paranze a vela" diventò pian piano un porto peschereccio e mercantile di piccolo tonnellaggio, che ne fecero il porto più importante dell’Adriatico, fra Bari e Ancona, in quegli anni.


Il porto-canale e la ferrovia lungo la banchina sud

i primi pescherecci a motore (dal DVD "Uè vitellò" di S. Console e G. Stuard)



il mercantile soprannominato dai vecchi pescaresi (a detta del dott. Nevio Taraborrelli) "lu ferrone", prima della Seconda Guerra Mondiale (visibile ancora il ponte Littorio). Era ormeggiato alla banchina nord vicino al Comune, dov'è adesso un circolo nautico privato (e dove prima c'era il Club Nautico pescarese. Lì abbiamo imparato le prime nozioni di vela negli anni '60).


il mercantile "lu ferrone" che già frequentava il porto-canale di Pescara durante la sua costruzione (coll. A.Spina)


Foto d’epoca: il mercantile soprannominato dai vecchi pescaresi "Lu ferrone", attraccato alla banchina nord, vicino al Comune, dove c’era il Club Nautico di Pescara e attualmente un club privato. Sullo sfondo si vede il campanile di S. Cetteo in costruzione, da cui si può risalire ai primi decenni del ‘900, e anche il porto era in via di ultimazione (si vedano le banchine ancora in costruzione). Il "Ferrone" era un piccolo mercantile e faceva la spola continuamente con altri porti, insieme ad altre navi, rendendo movimentata la vita portuale e ricca la città.



i giovani "balilla" sul ponte Littorio (dal DVD "Uè vitellò" di S. Console e G. Stuard)




 in primo piano le chiatte che servivano per il trasbordo delle merci dai mercantili ancorati fuori dal fiume. Ci sembra di riconoscere al centro sulla destra la vecchia draga a cestelli  (coll. Caripe) 



La seconda guerra mondiale

Alla fine della seconda guerra mondiale, sotto l’incalzare degli alleati, i tedeschi in ritirata distrussero con le mine quello che i bombardamenti alleati non avevano distrutto.
In particolare fecero saltare in aria il Ponte Littorio, la torre del Comune, il ponte ferroviario e buona parte dei moli guardiani del porto.



il ponte littorio

Dal libro “Pescara e la Guerra, 31 Agosto‘43-10 Giugno‘44” di Alfonso Di Russo


Queste distruzioni, sommate al fenomeno dello sfollamento dei cittadini verso i paesi vicini, per evitare anche i bombardamenti oltre che le rappresaglie tedesche, fecero di Pescara, subito dopo il ritiro di questi ultimi, la “città morta”.

Riprendiamo alcune immagini significative dal libro “Pescara e la Guerra, 31 Agosto‘43-10 Giugno‘44” di Alfonso Di Russo:





Oggi ultraottantenne, appartiene alla vecchia famiglia Cascella.
Era il barbiere più famoso della città, e non solo, avendo operato
con successo anche in Costa Smeralda. Ci ha fornito il vecchio disegno
della costa pescarese del 1938, pubblicato nella 

Storia del porto nell'antichità

 
Era l'analista chimico dell'"Ospedaletto" in via Marconi a Pescara P.N.
Appassionato storico della città,
ci ha fornito diverso materiale per la ricostruzione della storia del porto
                                                    

                                                                                                                                               






                                                                                    


dal libro di Alfonso Di Russo
                                                                 
Uscito malridotto, in seguito allo scoppio delle mine tedesche, dalla Seconda Guerra Mondiale, ma ricostruito, e vedendo traffici sempre intensi, il porto continuò ad essere molto frequentato e perciò riclassificato dal Ministero della Marina:




Mercantili attraccati alla banchina sud 



Mercantile scarica sulla banchina sud


Foto G. Marchesani: gruppo di bordo

coll.  Marco D’antonio: i primi pescherecci del dopoguerra ormeggiati alla banchina  sud del porto-canale.
                 
Giovanni Pasquini, il calafàto, in basso, al lavoro sullo scalo di alaggio. Ci sembra di riconoscere nella foto di gruppo capitan Mimì Di Carlo e Nevio


Pranzo a bordo: da sx, in primo piano per soprannomi, "Paplijone", "Tubblone", "Gnaffitte"



Un trabocco sul molo nord, in pesca

"lu travucchette" nel porto-canale e vecchi pescaresi sul trabocco in pesca: Pietro Cascella (lo scultore), Duilio La Guardia (in tutti i sensi, era VV.UU. e fratello del nostro amico di gioventù Peppino, detto "lu cape") e Berlante Pennese "brillande" (della vecchia famiglia di commercianti di pesce e astatore del Mercato Ittico) - dal DVD "Uè vitellò"


Allora il porto era nuovo e tale era rimasto fino agli anni ’60 (noi eravamo ragazzi). 
Il restringimento della canaletta rispetto al più largo bacino portuale provocava però la decantazione di una parte del fango trasportato dal fiume nel bacino stesso. 
Ma con un dragaggio annuale (negli anni successivi interrotto) minimo intorno ai 15.000 mc, garantito dalla draga che sostava costantemente nel bacino portuale e che scaricava in mare il fango che non vi trasportava il fiume, comunque il porto funzionava:






Le paranze a vela erano oramai sostituite dai pescherecci a motore, fra i cui primi nuovi esemplari fu l’”Audace” della famiglia Spina. Anche su questo, come consuetudine, l’equipaggio era formato da sambenedettesi. 
Marinai scaltri, abituati a stare per mare con ogni tempo; anzi, proprio quando c'era burrasca, approfittavano per andare a calare le reti nelle più pescose e pericolose acque slave. Pericolose perchè i pescherecci sorpresi in quei paraggi venivano sequestrati dalle motovedette slave. 
Cosa che all' Audace capitò più di una volta, motivo per cui dovette ricorrere ad un sotterfugio per evitare il sequestro se fosse stato sorpreso a pescare di nuovo in quelle acque: cambiò nome più volte.

(D’altronde, come si diceva nel racconto della storia antica del porto e del fiume, altre famiglie di quella cittadina marchigiana popolarono il porto di Pescara: fra cui la più importante fu la famiglia Gasparroni.
Ma questo avvenne dopo la II Guerra Mondiale.
A questo punto ci è d’obbligo scusarci con le altre famiglie ”marinare” il cui nome non viene fuori dalla Storia del porto. Per nominarle tutte, e ognuna con la sua storia, è compito molto arduo e sarebbero stati necessari i racconti di tutti i vecchi parò della marina nord e di quella sud. Noi abbiamo fatto quel che si poteva. 
Ma possiamo però ricordare alcuni soprannomi degli esponenti più conosciuti e radicati di esse: in dialetto, che è più simpatico. 
Dai più vecchi: “Bicchiire”,”luPuete”,”Niculine”,”Musitte”,”Bacone”,”Patane”,”Chiattone”,”Manuccie”, ”Pitone, ”lu Coreane”,”Virdure”,”Zechiele”,”Mazzuline”,…

ai più giovani (si fa per dire):
”Machiaville”,”Babbozz”,”Dudù”,”laPicurelle”, Cocò,...)


Nuovo Audace

Gino Spina

In quegli anni, nel frattempo, la carismatica guida della marineria da parte dello “scrivano” (Pasquale Spina) fu "ereditata" da Luigi Spina, detto Gino, uno dei più giovani dei 21 figli dello stesso. Oltre ad esserlo per la famiglia, lo fu anche per la moderna marineria per molti anni, interpretandone i sentimenti e i bisogni presso le Istituzioni, fino alla sua morte prematura. Dopo di lui la marineria non ha avuto più una guida carismatica a cui far riferimento e questa mancanza si sentirà poi negli anni successivi.


vista dalla banchina sud negli anni della rinascita  nel dopoguerra


Le paranze che avevano dismesso l’attrezzatura velica, mantennero solo gli alberi di maestra o di trinchetto e montarono come motore anche, alla bisogna, quello dei carri armati lasciati dagli alleati, che avevano liberato il paese dalle truppe di Hitler.       
Questi pescherecci venivano chiamati "babbozzi".
Il traffico peschereccio andò man mano aumentando con l’arrivo di nuovi scafi e contemporaneamente anche il traffico mercantile cresceva nel dopoguerra fino agli anni ’70.

Ma data la scarsità di aree demaniali per lo stoccaggio delle merci (in fondo il porto è stato soffocato poi dalla città) e soprattutto data la scarsa profondità di fondali per permettere l’attracco a navi mercantili di grosso tonnellaggio, prese piede quella che in definitiva era lo sbocco naturale per il porto pescarese: il traffico passeggeri.

Infatti il traffico merci (che faceva capo alla ditta Santori), arrivando fino agli anni ’90, si manteneva su livelli ottimali per il piccolo porto di Pescara, ma erano pur sempre bassi e agli ultimi posti, se non l’ultimo, fra gli scali italiani ( 0,3/0,5% del movimento Porti Italia-Istat nel 2000), sebbene arricchito dall’incremento del traffico petrolifero, che faceva e fa capo alla ditta Di Properzio.
Insomma pur essendo stato ed essendo un porto efficiente per quasi un secolo, il porto di Pescara rimaneva pur sempre un piccolo porto mercantile, se confrontato con la realtà italiana, ma un importante porto peschereccio.

Le cui imbarcazioni, però, man mano che ci si avvicinava alla fine del secolo diciannovesimo, andavano cambiando: si passava cioè sempre più da quelle di piccolo tonnellaggio a quelle più grandi, dovuto al fatto che dovevano spingersi più al largo alla ricerca del pesce, che sotto costa si faceva sempre più scarso, alla sicurezza in mare ed anche  alla comodità di vita a bordo.

il porto-canale negli anni '60 prima della costruzione del porto turistico. In evidenza la secca che si creava nell'angolo della banchina nord davanti alla stele della Madonnina. Sono visibili "la scogliera isolata" (posta a protezione della spiaggia della Madonnina e dell'inizio del molo nord) e il "moletto", che allora aveva acqua intorno). Il porto-canale ha sempre avuto bisogno di un dragaggio costante nel bacino interno (dove ormeggiavano i pescherecci e le navi) di circa 50.000 mc all'anno. L'angolo della banchina della Madonnina serviva come bacino di evoluzione per le navi che frequentavano il porto e quindi doveva essere sempre mantenuto alla giusta profondità dalla draga che stazionava sempre nel porto-canale. La canaletta (cioè lo sfogo a mare del fiume fra i due moli guardiani) avendo in essa il fiume una velocità di corrente molto forte non aveva bisogno di dragaggio come il bacino interno dove la velocità rallentava e dove quindi il fango da esso trasportato in sospensione si posava più o meno nella quantità sopradetta (50.000 mc all'anno).

Ma per tornare al ns. discorso, il porto (il suo sviluppo) non poteva andare oltre certi limiti naturali sia per quanto riguarda il  profilo costiero, costituito da bassi fondali sabbiosi, sia, soprattutto, per la realtà economica dell’entroterra ( l’Abruzzo è pur sempre una delle più piccole, economicamente parlando, regioni italiane).

Il traffico passeggeri dunque ebbe inizio con la motonave Egadi:


la motonave Egadi in manovra di evoluzione dentro il  canale interno, di fronte alla Madonnina.

che però si dimostrò troppo piccola per lo sviluppo del movimento passeggeri. 

E’ così negli anni ’70 si diede l’avvio all’operazione Tiziano: un traghetto passeggeri con chiglia bassa, costruito apposta per fare servizio nel porto di Pescara.



la motonave-traghetto Tiziano, in navigazione



 la Tiziano in porto, la scogliera isolata (dove da piccoli andavamo a fare il bagno, a primavera, invece di andare a scuola). I trabocchi avevano tutti l'acqua di sotto per effetto dell'erosione  provocata dalle correnti  delle mareggiate provenienti da nord.  La scogliera isolata serviva a proteggere l'attaccatura del molo nord. Non era stato costruito ancora il porto turistico.  (coll. ing. Marconi)




il porto-canale negli anni '70 quando il traghetto Tiziano ormeggiava alla banchina sud. (coll. ing. Marconi)


Infatti sopra vi mostriamo un’immagine del porto di quegli anni: si vede attraccata  la Tiziano che effettuava regolare collegamento con la Iugoslavia tutto l’anno, tranne che nei rari giorni di burrasca, perché la manovra di ingresso nella “stretta” canaletta era difficoltosa. 
In quei giorni particolari il traghetto dirigeva su Ancona.

In ogni caso,dai racconti di quei vecchi soprannomi e dai fatti reali, emerge che nei decenni in cui l’assetto del porto è rimasto quello degli ingegneri del Re, quasi tutto il secolo, mai più nessun incidente era capitato alla foce del fiume (cioè all’ingresso dei due moli guardiani).


La Costanza Adele Madre”, di Giovanni "chiattone" D'antonio, mio comandante nel 1970, rientra con mare calmo nel vecchio ingresso del porto-canale



"Chiattone"



"Vento divino" rientra in porto con mare in burrasca



Foto Gigino D'antonio: sopra, l’ultima “salbata” della giornata, prima di rientrare in porto



Foto Gigino D'antonio:  navigazione verso il porto con mare forza 7/8


Purtroppo, dopo l’usura patita nei decenni di sano lavoro a protezione del porto, le palafitte avevano bisogno di manutenzione. Invece furono “lisciate”.
Questo causò l’inizio dei problemi: una fortissima risacca dentro il porto. In conseguenza di ciò, durante le mareggiate da levante, ci furono numerosi danneggiamenti ai pescherecci all’ormeggio e persino un mercantile, in una notte di maltempo, una ricorrenza di S.Martino, ruppe i suoi e si traversò sul fiume. Insomma dentro il porto non c’era più pace.

A questo punto non sappiamo se la successiva costruzione della diga foranea, 1993-1997, fu solo una conseguenza di questi avvenimenti o faceva già parte del progetto completo nell’avamporto, di cui la prima stesura è del marzo 1984. 
Questa visibile nel disegno sotto:


il primo progetto di variante, del marzo 1984 (foto Primadanoi.it)
                                                                          

e la sua variante definitiva del 1987:



la variante al Piano regolatore del 1987: in alto la diga foranea, sotto a destra il braccio di levante e la darsena (con le due banchine: 
di riva e di levante)



Progetto contestato nel 2000, quando era costruita solo la diga foranea (1993-1997), che aveva dato già i primi segnali negativi (interrimenti nell’avamporto, inquinamento delle spiagge, ingresso in porto difficile in condizioni di traversia).

E così, nonostante i pareri contrari dei pescatori alla costruzione della seconda parte del progetto (banchina di levante) e le necessità storiche di dragaggio già esistenti nel vecchio bacino portuale; nonostante le preoccupazioni per l’ulteriore, previsto enorme, dragaggio nel nuovo avamporto,

la moderna draga “Cucco”  nel porto-canale, negli anni passati, 2008.
(leggi quì)


sotto la spinta delle forze economiche e industriali locali per aumentare, comunque,  il traffico merci e dei prodotti petroliferi, e quindi permettere l’attracco anche a navi  di più grosso tonnellaggio, mercantili o passeggeri, si diede l’avvio  alla soluzione già stabilita nel 1987 per ingrandire le strutture portuali (braccio di levante, 2002-2005).
                               

                                                             
  Il vecchio bacino portuale, oggi



                            
Storia del porto nel '900- FINE                                 



Sono grato a mia moglie e ai miei figli, 
a quelle persone che con le loro critiche 
o con la loro silenziosa comprensione
mi hanno aiutato a superare i miei 
errori giovanili.

Antonio Spina




marzo 2011 (aggiornato 22/03/2014)


BIBLIOGRAFIA
Casa Editrice Sonzogno-Milano: Opuscolo " Le cento città d'Italia illustrate" - 1928
Casa Tip. Ed. De Arcangelis-Casalbordino: Gino Albi, "L'Abruzzo marittimo", 1915
Stab. Tip. Alfa Grafica-Roma: R. Minore-P. De Antonis, "Pescara le immagini la storia", Centen.Caripe 1977
Tecnograf-Cepagatti: Alfonso Di Russo, "Pescara e la guerra", 1994
Sito Internet: Marco de Marinis," portodipescara.com ", 2000-2005
Istituto Idrografico e Mareografico di Stato - Pescara
Giornale "Il Tempo"- archivio storico
Edizioni Tracce - Pescara e Fondazione Caripe, Gabriele Carletti: La Pescara di Melchiorre Delfico -1999
DVD "Uè vitellò" di Silvano Console e Gianluca Stuard - 2007